giovedì 3 novembre 2011

Breve diario di un viaggio nordafricano


Non amavo fermarmi in un unico posto per tanto tempo, non volevo invecchiare e avere il ricordo di un’unica cucina, conoscerne ogni segreto, ogni meandro fino all’esaurirsi delle novità, fino al prosciugarsi delle scoperte e dei tesori nascosti nella stanza delle provviste. Me lo potevo permettere. Ero un rom dei cinque sensi, li dovevo trasportare da un luogo all’altro, dovevo transumare per pascere la mia sete di novità, non avevo carrozzoni al seguito e questo mi permetteva di muovermi agilmente. Questo mio vagabondare da una cucina all’altra mi arricchiva sempre di più. Avevo iniziato a viaggiare da un capo all’altro del mondo, a conoscere nuove culture, nuova gente, gusti che difficilmente potrò dimenticare. Riconoscere le città dal loro odore, dai loro profumi caratteristici, dall’aria che si respira. Ogni città ha un’aria diversa. Sarà che ho il senso dell’olfatto maggiormente sviluppato, ma ogni qualvolta capito in una città nuova o ne visito una già conosciuta inspiro profondamente, al fine di espandere quest’alito vitale in tutto il mio corpo, così che ogni mia cellula possa riconoscere quell’odore e sentirsi un po’ come a casa sua. Ognuno di noi ha un proprio odore caratteristico, ogni essere umano ha due cose inconfondibili: le impronte digitali e l’odore della propria pelle. Non sono ammessi sosia, la natura non vuole. E così è per i luoghi. Riesco a percepire l’odore, i feromoni di una  città , la frizzantezza o la malinconia di un centro abitato solo inspirando. Un mio amico annusando i libri riesce a riconoscere la libreria di dove lo si è comprato solo dall’odore. Scherzi della natura.  Avevo delle preferenze, ovvio. I mercati orientali mi affascinavano tantissimo. In uno dei miei stanziamenti in africa settentrionale adoravo passeggiare per i quartieri della casbah e della medina. Al bando ogni forma di cartina e indicazione stradale, mi piaceva perdermi in quel dedalo di viuzze, in quei labirinti magici, affascinanti, unici al mondo. Solo i souk riuscivano a darmi quelle sensazioni. Camminavo lentamente, assaporavo ogni singolo metro della strada. In sacchi di iuta scorgevo ogni specie di spezia,di erba e di frutta secca, era come vedere la tavolozza di un pittore pronto a mettersi all’opera. Il nero dei semi di papavero che mescolati al miele avevano un sapore divino, il pepe di diversi tipi, grandezza e tonalità, dal verde al rosa pallido, il giallo oro della curcuma, dal colore del sole e con un sapore lievemente piccante ed estremamente volatile come un temporale estivo. L’inconfondibile odore della noce moscata, con il suo gusto dolce e il profumo di bosco, il coriandolo, il rosso accecante del peperoncino. Il profumo d’incenso e la musica frenetica degli artisti di strada donavano alla mia anima momenti di euforia, ma al tempo stesso di pace interiore. Camminavo e mi sentivo parte di quella cultura, di quella gente, di quei luoghi magici, affascinanti, pieni di mistero e saggezza. Pietre preziose, galli che lottavano strenuamente in piccole gabbie di legno, stoffe che avrebbero arredato chissà quale casa in chissà quale parte del mondo, sguardi fieri e al contempo sottomessi di donne che osservano il mondo da una fessura di stoffa, e non lo giudicavano. Mille colori, mille sfumature di una cultura millenaria, di gente che ha sofferto, che ha fatto conoscere al mondo i segreti dei numeri, dell’astronomia, delle scienze. Il momento che preferivo maggiormente era la sera. Quando potevo, affacciandomi dalla finestra del mio appartamento, riuscivo a sentire il profumo del deserto, il mio viso veniva accarezzato da una leggera bava di scirocco e il mio sguardo si posava sull’orizzonte. Immaginavo scene di mille e una notte, storie di principesse arabe e cavalieri erranti, di tuareg e nomadi del deserto, di un silenzio e di un cielo così scuro da poter contare le stelle ad una a una. Avvicinando i miei occhi alla città, ritornavo alla realtà svegliato dal luccichio di mille lampadine, da un vociare incessante e dal profumo delle braci ardenti e dei pentoloni fumanti che mi invitavano a uscire e a seguire le loro scie di vapore per soddisfare il mio palato. 

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