lunedì 31 ottobre 2011

La pasta e lenticchie di Norma

Il volto era rigato di lacrime, lo stesso rito di sempre, le stesse sensazioni, gli stessi profumi. La mano esperta guidava il coltello affilato nella tenera e succosa carne della cipolla, prima spogliata delle sue vesti e poi affettata con cura e amore. Appunto, amore, per la cucina, per le persone a cui il piatto avrebbe rinfrancato il corpo e lo spirito. Nel frattempo le lenticchie borbottavano in un pentolone con acqua bollente e divenivano sempre piu’ morbide. Lo sfrigolio della cipolla nell’olio caldo emanava un profumo intenso che le riempiva le narici e le dava una sensazione di benessere. Delicatamente versava la polpa di pomodoro in quell’unguento delizioso fatto di olio e cipolla, creando un matrimonio unico di odori e umori. Le lenticchie erano pronte, era giunta l’ora di unirle al pomodoro. Scolate dell’acqua di cottura le versava nella gustosa salsa di pomodoro e aggiustava di sale per darle una marcia in più. Mescolando qualche minuto affinché si creasse una zuppa densa, tuffava un misto di tubetti e spaghetti spezzati e lasciava che il calore facesse la sua parte.  Mescolando a più riprese, la pasta rilasciava il suo amido e passati una decina di minuti il capolavoro era pronto. Un grande mestolo e un piatto fondo a raccogliere quella pietanza che non aveva eguali. La mia pasta e lenticchie.



Foto di Elisa B.

sabato 29 ottobre 2011

Un viaggio a chilometro zero

Mi ricordo che quando eravamo piccoli a scuola ci insegnavano le stagionalità dei prodotti della terra. I pomodori e le melanzane in estate, l’uva in autunno,  broccoli, carciofi e cavolfiori d’inverno e così via. Ora se fai una domanda del genere a un bambino, ti guarda un po’ stranito e mentre gioca alla playstation ti risponderà che questi prodotti li trovi tutto l’anno al supermercato. Amo viaggiare, ma non amo far viaggiare i prodotti della terra e del mare. Non m’interessa comprare prodotti che fanno centinaia, anzi migliaia di chilometri stipati in celle frigorifero il cui sapore è pari a zero. Non voglio comprare un prodotto che all’inizio della filiera costa uno e arriva sulla mia tavola che costa dieci. E’ aberrante scoprire che per avere i prodotti disponibili trecentosessantacinque giorni all’anno si partecipi fattivamente all’aumento dell’inquinamento terrestre e all’impoverimento di zone già povere. Bisognerebbe tornare alle abitudini passate, riacquisire una cultura che oramai è andata perduta, ahimè per sempre. Che gusto c’è in un pomodoro invernale? O in una zucchina estiva? Quale doping, quali anabolizzanti hanno permesso ai frutti, alle verdure di divenire così imponenti e così perfetti?  In quale palestra sono stati creati dei mostri simili? E il pescato? Quali trattamenti riceve un pesce per essere pescato nell’oceano indo-pacifico  e poi scongelato sui banchi dei nostri supermercati? Quali sostanze vengono iniettate per renderlo presentabile e commestibile? Anche il pescato ha una sua stagionalità. Ci vuole rispetto. Bisogna esigere rispetto. Tutti ne gioverebbero. Le nostre tasche non si svuoterebbero così presto, il nostro organismo verrebbe alimentato da prodotti freschi e senza alterazioni. Un sano comportamento alimentare funzionerebbe da prevenzione e cura per una serie indefinita di malattie. Su di noi grava una grossa responsabilità, per noi stessi e per i nostri figli. Educazione alla spesa, rispetto per la terra e per il mare, acquisto consapevole, sono atteggiamenti  che ognuno di noi dovrebbe assumere, al fine di dare un contributo positivo per noi stessi e per coloro che ci circondano. Meditate gente, meditate. 

venerdì 28 ottobre 2011

I chapati di Selina

La osservavo di nascosto. Era di spalle, il suo lungo vestito le scorreva sui fianchi a risaltare la sua pelle color mogano, era minuta ma molto forte, schiva, timida, ma sempre sorridente, sempre disponibile ad accontentarci ad ogni richiesta gastronomica.  Cercavo di carpire ogni segreto, magari un ingrediente particolare, speciale, che rendesse i suoi chapati così gustosi, così semplicemente meravigliosi. Avevano un profumo intenso che si avvicinava al pane appena sfornato, caldi, morbidi, il primo morso era sempre quello più sorprendente. A ogni boccone scoprivo un nuovo sapore, un nuovo odore che si sprigionava in bocca e saliva nel naso.  Morbidi, fragranti, dolci al punto giusto, una goduria per il palato e per lo spirito. La vedevo mescolare in un recipiente d’ebano la farina con l’acqua, con aggiunta una goccia d’olio di mais e il sale. Vedevo darle  forma su di una piccola spianatoia di legno, con movimenti decisi e delicati allo stesso tempo. Una spennellata d’olio di mais e in padella a cuocere. Il sapore delle cose semplici.  Ero diventato un chapati dipendente. Per me una droga. Ogni volta la osservavo, ogni volta registravo nella mia mente i singoli passaggi, ripromettendomi di provarci una volta tornato in Italia. Niente da fare. Pur riavvolgendo mille volte il nastro, pur provandoci a più riprese, i miei chapati non erano quelli di Selina. Gli stessi ingredienti, le stesse quantità, gli stessi movimenti. Ma un’aria diversa, un’acqua diversa,  ma soprattutto un’atmosfera  differente che rendevano quei chapati, per me, i migliori al mondo. Anche questo è l’Africa.

giovedì 27 ottobre 2011

La mia Africa

L'Africa. L'Africa che ti aspetti ma che ti lascia senza fiato. Povertà, certo, non di spirito. Ricchezza inestimabile di sorrisi, di occhi profondi, di donne fiere con i loro cuccioli in spalla, uomini d'ebano orgogliosi della propria terra e delle proprie radici. Tramonti da togliere il fiato, cieli notturni tanto grandi da raccogliere tutto il firmamento. Terra rossa come il fuoco più cocente, fertile come la madre più feconda. Quando ti accoglie ti mette alla prova, ti fa guardare il suo lato più duro, che ti toglie il fiato, ti accartoccia lo stomaco. Poi si lascia andare, mostrandoti il suo viso meraviglioso solcato da rughe bellissime, il suo corpo sinuoso, così fragile ma anche così forte, i frutti della sua terra, degni del paradiso terrestre, la sua cucina, così povera ma straordinariamente gustosa. Non c’è via di mezzo. O la ami e non potrai fare a meno di lei o non ti entrerà nel cuore, ma fino ad ora non ho mai conosciuto qualcuno che sia stato in questo meraviglioso continente e che non abbia sofferto al suo ritorno del “mal d’Africa”.  E’ un magone che ti prende allo stomaco, una nostalgia che non puoi descrivere, perché ti manca quel profumo, quell’aria magica, i colori dei suoi tramonti, ma soprattutto i sorrisi color latte della gente, che ti accoglie e ti fa sentire a casa tua. Questa estate ho conosciuto il Kenya, ho mangiato i frutti della sua terra, il mango, la papaya, il cocco. Sapori indescrivibili, colori vivi e accecanti. Ho gustato i piatti tipici, i chapati, il riso al cocco, la polenta ugali, le deliziose samosas. Ho vissuto per due settimane con una famiglia del posto, ho vissuto la vera Africa, non quella dei villaggi turistici e del menù occidentale. Ho calpestato la loro terra, ho respirato la loro aria, quella dei mercati fangosi ma meravigliosi, quella dei villaggi poveri ma con  una dignità senza fine. E le emozioni e le sensazioni che ho provato sono riassunte nella foto postata, una mamma fiera, dura, ma allo stesso tempo tenera e protettiva. Asante sana mama Africa, kwaheri!

mercoledì 26 ottobre 2011

Slow o fast?

C’e’ dicotomia tra slow food e fast food? Sono in perenne competizione? Mangiar sano contro cibo spazzatura? E’ opinione diffusa la contrapposizione che vede schierati, da una parte i fautori del mangiar sano e dall’altra quelli del cibo “spazzatura”; ma possono le strade di questi due partiti mai incrociarsi? Guelfi e ghibellini o accordo bipartisan? Fondamentalmente l’amante della buona cucina è, a giuste ragioni,  schierato contro i fast food, una vera e propria aberrazione culinaria, d’altra parte la vita moderna ci impone determinati ritmi ed è difficile stare dietro al mangiar sano e soprattutto lento. Hamburger, tramezzini, piatti pronti da scongelare sono diventati l’ancora di salvezza per chi non avrebbe tempo.  E ribadisco, avrebbe tempo. Si perché con la scusa della vita frenetica non si cucina più, dentro e fuori casa siamo diventati amici intimi del microonde. E’ una questione di educazione, di cultura, ma soprattutto di abitudine. E mi riferisco non solo alle orde di ragazzini che invadono i fast food ingurgitando di tutto e tracannando litri e litri di bibite gassate e zuccherine, ma anche e soprattutto alla nuova generazione di genitori che al supermercato fanno l’amore con i cibi precotti e congelati. Il loro viaggio culinario è sempre lo stesso, visitano sempre le stesse mete, non si mettono in gioco, non partecipano con i loro figli alla nobile arte della creazione culinaria. Eppure i loro genitori, i nostri genitori ci hanno tirato su senza contare sui surgelati ed il microonde non esisteva neanche. Troppo facile prendere il carrello e avere una meta fissa, sempre la stessa. Un viaggio banale, routinario, ma soprattutto dannoso.  E’ così difficile tirar su una pasta con il pomodoro, una patata al forno o una vellutata di piselli? L’obiezione sarà sempre la stessa: mancanza di tempo. Mi oppongo vostro onore. La parola magica potrebbe essere congelare in casa. Potrebbe essere questa la via di mezzo tra i “lenti” e i “veloci”? Si potrebbero preparare in momenti morti minestroni, vellutate,ravioli, cannelloni, sughi di vario genere per poi congelarli e all’atto pratico metterli in padella per riscaldarli e gustare un piatto fatto in casa ma con filosofia fast? Ovviamente ci sono alcune preparazioni che devono essere cucinate al momento, ma magari quelle le lasciamo ai puristi e ai gastrosofi. Ovviamente non a tutti piace cucinare, non tutti hanno voglia di perder tempo in cucina, o è solo una questione di abitudine? Purtroppo io sono schierato dalla parte  degli amanti della buona tavola, di quella slow, anche se a volte…chi è senza peccato scagli la prima pietra!

martedì 25 ottobre 2011

La macchina del tempo

Un odore, dolce o pungente che sia, perfino poco gradevole, un sapore, il cibo che ti si scioglie in bocca o che ti crocchia tra i denti o che ti scivola giù per la gola e sei trasportato in un’altra epoca, in un’altra dimensione. Un salto di uno, due, dieci, cinquant’anni in un nanosecondo. La macchina del tempo gastronomica, l’unica sperimentata, l’unica che funzioni. Capace di farti rigare il volto di lacrime per la commozione, per la gioia o per  il dolore capace di farti rivivere. Due facce di una stessa medaglia. Sprazzi di masochismo come a voler a tutti i costi rivivere quel sentimento,  bisogno urgente di farsi piccolo e indifeso e volere essere protetto, da un sapore, da un odore.  Chiudere gli occhi e viaggiare. Un viaggio vivo, fatto di immagini, di suoni, sensazioni indescrivibili, straordinarie. Fotografie di un passato che non tornerà più, un nastro che, però,  possiamo riavvolgere e rivedere all’infinito. Potere del cibo, connubio perfetto con i nostri recettori, le nostre papille, il nostro sistema cerebrale. Probabilmente istinto di sopravvivenza, di conservazione, bisogno assoluto di attingere dal passato per vivere meglio il presente, attimi di ristoro commoventi, bisogno estremo di vicinanza a persone che non ci sono più, ma che possono rivivere in umori e profumi che definitivamente faranno parte di noi. Viaggio consapevole o casuale. Accanito sostenitore o consumatore occasionale. Vittima di un sapore, di un odore , capaci di trasportare in un universo parallelo chiunque ne venga a contatto. Meravigliosa capacità evocatoria del cibo. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è lasciato trasportare indietro negli anni, incontrando una persona cara che non c’è più, ma che rimarrà sempre in sua compagnia anche grazie a questa meravigliosa macchina del tempo.

lunedì 24 ottobre 2011

Esploratore o abitudinario?

Probabilmente, anzi, sicuramente, la cucina italiana è la più famosa e apprezzata al mondo.  Grazie alla struttura geografica del nostro paese possiamo contare un’infinità di prodotti tipici, di tecniche di cottura e di ristoranti, taverne e osterie.  Ma lo stereotipo di mammone vale anche quando  l’italiano si reca in vacanza all’estero? Ha l’esigenza di sentire la presenza di mamma Italia cercando disperatamente ristoranti nostrani per sentirsi a casa, oppure si spoglia della propria italianità e si immerge completamente nella realtà vacanziera iniziando ad esplorare gusti e odori? O esiste una via di mezzo? Fondamentalmente l’italiano medio in vacanza credo resista uno o al massimo un paio di giorni, al risveglio del terzo giorno, in preda ad una sorta di crisi d’astinenza cerca disperatamente un bar dove poter fare colazione con cornetto e cappuccino e poi un ristorante dove poter mangiare gli “spaghetti bolognesi” o “pizza con i pepperoni” che neanche il peggior ristorante italiano saprebbe cucinare.  Sinceramente l’abitudinario non mi piace affatto, preferisco di gran lunga l’esploratore, il viaggiatore a trecentosessanta gradi. Colui che si immerge completamente nella vita della cultura di cui è ospite, spiluccando, spizzicando, assaggiando, degustando. Colui che vive la vacanza come un’esperienza che va al di là del riposo e dello svago e che come una spugna che cerca di assorbire gli usi e i costumi del posto che visita, gettandosi a capofitto in strade, in viuzze sconosciute, fuggendo ogni insegna turistica e facendo conoscenza con la gente del posto. Esploratore preparato però. Che prima del viaggio si documenti sul posto da visitare, sulla cultura con cui relazionarsi, in modo da rispettarla nel momento in cui ne farà parte. L’ignoranza non paga, anzi fa danni.  Bisogna viaggiare in maniera intelligente. Aprire la propria mente, combattere i pregiudizi, ma soprattutto evitare di comportarsi come un colonizzatore, soprattutto quando ci si reca in aree geografiche povere. L’abitudinario quasi sempre si fa organizzare il proprio viaggio, quasi sempre si rifugia in villaggi turistici o strutture alberghiere dotate di tutti i comfort. Preferisce utilizzare guide turistiche perché non ha voglia di studiare prima del viaggio, è pigro, apatico ed è abituato a seguire un solco già segnato dai suoi predecessori abitudinari. Spenderà tanti soldi e tornerà a casa pieno di ninnoli e cianfrusaglie comprate nel tipico negozio turistico, avrà mille fotografie di paesaggi  e monumenti, ma tornerà più vuoto di prima.  Non porterà con sé i sorrisi dei bambini che giocano per strada, i profumi delle taverne locali, i sapori del cibo cotto in strada o lo sguardo fiero degli anziani che potrebbero raccontare mille storie. Forse conoscerà a memoria il pezzo di mare antistante il proprio villaggio e il tratto di sabbia che lo portava dal bar alla spiaggia: il vuoto assoluto.  L’esploratore è una persona intelligente, ha una mentalità aperta, pianifica ma nello stesso tempo lascia uno spazio all’imprevedibile, vuole essere sorpreso, cede alle tentazioni ma sa quando fermarsi. Esperisce. La cucina locale lo affascina. E’ incuriosito dai cibi autoctoni, dalla coltivazione delle materie prime, dal modo di cucinarle, dal modo di mangiarle. E’ alla ricerca spasmodica di taverne, bettole, luoghi di ritrovo non turistici, gira per mercati, si lascia ammaliare dai profumi, testa ma non giudica. Al suo ritorno sarà arricchito di nuove esperienze, la sua memoria  troverà giovamento in ricordi che lo aiuteranno nei momenti di sconforto, porterà con sé attimi di vita irripetibile, il suo taccuino sarà pieno di ricette da sperimentare con gli amici, il suo album fotografico sarà ricco di scorci, di attimi, di sguardi e di una cultura che lo renderà migliore.

domenica 23 ottobre 2011

Si, viaggiare!

Vi siete mai chiesti cosa sia un viaggio? Lasciate un attimo da parte il classico concetto che ognuno di noi ha di viaggio. Provate ad accantonare l’idea del biglietto aereo, della valigia e dell’albergo. Cosa vi resta? Niente?! Sicuri? Ampliate le vostre vedute, fate cadere i vostri paletti, uscite dal conformismo e dagli stereotipi, iniziate a guardarvi intorno aprendo la vostra mente. Viaggiare come esplorare quello che c’e’ dentro e fuori di noi. Curiosare, essere sorpresi. Cucinare è viaggiare. Preparare una ricetta partendo da un inizio e raggiungendo un traguardo e nel mezzo il percorso che porta a toccare, vedere, annusare, assaporare. Vivere un’esperienza multisensoriale che possa permettere al nostro corpo e alla nostra anima di esperire situazioni nuove e rivivere in maniera diversa quelle già fatte. Andare a fare la spesa è un viaggio, avere il comando di un carrello e scegliere i prodotti migliori, circumnavigare le gondole di un supermercato passando dal freddo pungente del banco frigo ai meravigliosi colori della frutta di stagione, curiosando tra gli ortaggi dalle mille forme e venendo letteralmente rapiti dal profumo del pane appena sfornato. Scegliere la giusta bottiglia di vino pensando ai giusti abbinamenti e alle persone alle quali verrà “sacrificata”, maneggiarla con cura e trattandola con rispetto in quanto frutto prezioso della terra e del lavoro umano. Pianificare un pranzo o una cena, trovare gli ingredienti giusti, prepararli, cucinarli, servirli in tavola, mangiare. Assaporare un cibo già conosciuto o uno nuovo, esplorarne il gusto, odorarne gli umori, chiudere gli occhi per essere pervasi da mille emozioni, curiosare, gioire. Cucinare per la propria donna, per il proprio uomo, per gli amici, per gli sconosciuti e viaggiare nei loro occhi, nelle loro espressioni, nei loro gesti, esplorando le sensazioni e le emozioni generate dal cibo preparato con le vostre mani, con il vostro amore.

giovedì 20 ottobre 2011

Si parte...

Non pensavo fosse così difficile scrivere il post di presentazione di un nuovo blog. Cosa scrivo, come lo scrivo, quanto scrivo, poi mi sono buttato senza pensarci. Da tempo mi balenava in mente di scrivere di due grandi passioni che ho sempre avuto, i viaggi e la cucina. Volevo cercare di fondere queste due esperienze senza cadere nel banale, senza fare un elenco di ricette o postare le mille foto fatte nell’ultimo viaggio. Scriverò con la pancia, trasferendo tutte le mie sensazioni, i miei pensieri, le mie emozioni in questo diario virtuale, sperando di incuriosire qualcuno, magari iniziando questo “viaggio” insieme e facendo salire a bordo chiunque sia interessato a stare in buona compagnia per un po’.