martedì 25 ottobre 2011

La macchina del tempo

Un odore, dolce o pungente che sia, perfino poco gradevole, un sapore, il cibo che ti si scioglie in bocca o che ti crocchia tra i denti o che ti scivola giù per la gola e sei trasportato in un’altra epoca, in un’altra dimensione. Un salto di uno, due, dieci, cinquant’anni in un nanosecondo. La macchina del tempo gastronomica, l’unica sperimentata, l’unica che funzioni. Capace di farti rigare il volto di lacrime per la commozione, per la gioia o per  il dolore capace di farti rivivere. Due facce di una stessa medaglia. Sprazzi di masochismo come a voler a tutti i costi rivivere quel sentimento,  bisogno urgente di farsi piccolo e indifeso e volere essere protetto, da un sapore, da un odore.  Chiudere gli occhi e viaggiare. Un viaggio vivo, fatto di immagini, di suoni, sensazioni indescrivibili, straordinarie. Fotografie di un passato che non tornerà più, un nastro che, però,  possiamo riavvolgere e rivedere all’infinito. Potere del cibo, connubio perfetto con i nostri recettori, le nostre papille, il nostro sistema cerebrale. Probabilmente istinto di sopravvivenza, di conservazione, bisogno assoluto di attingere dal passato per vivere meglio il presente, attimi di ristoro commoventi, bisogno estremo di vicinanza a persone che non ci sono più, ma che possono rivivere in umori e profumi che definitivamente faranno parte di noi. Viaggio consapevole o casuale. Accanito sostenitore o consumatore occasionale. Vittima di un sapore, di un odore , capaci di trasportare in un universo parallelo chiunque ne venga a contatto. Meravigliosa capacità evocatoria del cibo. Ognuno di noi, almeno una volta nella vita, si è lasciato trasportare indietro negli anni, incontrando una persona cara che non c’è più, ma che rimarrà sempre in sua compagnia anche grazie a questa meravigliosa macchina del tempo.

1 commento:

  1. "Ed ecco, macchinalmente, oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d'un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzo di «maddalena». Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m'aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M'aveva reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l'amore, colmandomi d'un'essenza preziosa: o meglio quest'essenza non era in me: era me stesso.
    Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. E' tempo ch'io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. E chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me. Essa l'ha risvegliata, ma non la conosce, e non può che ripetere indefinitamente, con forza sempre minore, quella stessa testimonianza che io sono incapace d'interpretare e che voglio almeno poterle donare di nuovo e ritrovare a mia disposizione intatta, fra poco, per una spiegazione decisiva. Depongo la tazza e mi rivolgo al mio animo.
    Toccherà mai la superficie della mia piena coscienza quel ricordo, l'attimo antico che l'attrazione d'un attimo identico è venuta così di lontano a richiamare, a commuovere, a sollevare nel più profondo di me stesso? Non so. Adesso non sento più nulla, s'è fermato, è ridisceso forse; chi sa se risalirà mai dalle sue tenebre? Debbo ricominciare, chinarmi su di lui dieci volte. E ogni volta la viltà, che ci distoglie da ogni compito difficile, da ogni impresa importante, m'ha consigliato di lasciar stare, di bere il mio tè pensando semplicemente ai miei fastidi di oggi, ai miei desideri di domani, che si possono ripercorrere senza fatica.
    E ad un tratto il ricordo m'è apparso...
    La vista della focaccia, prima d'assaggiarla, non m'aveva ricordato niente; ma, quando niente sussiste d'un passato antico, dopo la morte degli esseri, dopo la distruzione delle cose, più tenui ma più vividi, più immateriali, più persistenti, più fedeli, l'odore e il sapore, lungo tempo ancora perdurano, come anime, a ricordare, ad attendere, a sperare, sopra la rovina di tutto il resto, portando sulla loro stilla quasi impalpabile, senza vacillare, l'immenso edificio del ricordo".

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